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Monday, January 20, 2020

Cosa ne pensiamo - la diseguaglianza sociale cresce

"In Italia l'1% più ricco detiene quanto il 70% della popolazione. A pagare il prezzo più alto sono donne e giovani. Oltre il 30% dei ragazzi guadagna oggi meno di 800 euro lordi al mese mentre il 23% degli under 29 versa in condizioni di povertà lavorativa. Crescono gli abbandoni scolastici: peggio di noi solo Spagna e Romania"

Ma vi sembra davvero che questo sistema capitalistico funzioni?
Non credete che sia l'ora di cambiare, drasticamente?

"Ce lo ricorda puntuale come ogni anno Oxfam alla vigilia del meeting annuale del World economic Forum a Davos.   

I Paperoni di Forbes son sempre lì. In 2153, forti di un patrimonio di 2.019 miliardi (dati di metà 2019), vantano  una ricchezza superiore a quella complessiva di 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione mondiale.

Negli ultimi tre decenni la crescita economica su scala globale che pur c'è stata, non ha avuto affatto un carattere inclusivo. Reddito e ricchezza salivano, ma si fermavano al top della piramide(fonte Repubblica)

In sostanza, i poveri rimangono poveri, i redditi medi vanno verso la povertà, i ricchi - invece - diventano sempre più ricchi. E mettono i poveri l'uno contro l'altro.



Se non vogliamo più questo per noi e per i nostri figli, bisogna cambiare.
Bisogna capovolgere questo sistema.
Bisogna AUDERE.

Cosa ne pensiamo del Green Deal Europeo

Di questi giorni la notizia che è stato varato un piano, chiamato il Green Deal Europeo, che avrebbe la buona intenzione di investire, all'interno dei Paesi UE, ben 1000 miliardi di euro in 10 anni.

L'informazione: A cosa serviranno questi soldi?
Per combattere il cambiamento climatico. L’Unione europea vuole raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, ovvero per quella data l’UE vuole arrivare a un equilibrio tra le emissioni di CO2 e l’assorbimento di carbonio. Si tratta di una necessità per riuscire a contenere l’innalzamento del riscaldamento globale entro la soglia di 1,5° dai livelli pre-industriali.
La prima tappa è il 2030: entro tale data bisognerà ridurre le emissioni dei gas serra del 40% rispetto ai livelli del 1990.
Come afferma il Corriere della Sera nel suo articolo, per raggiungere questo target è necessario trasformare l’economia europea, abbandonando le fonti fossili e incentivando la produzione di energia da fonti rinnovabili oltre che promuovere un’economia circolare.
Correttamente aggiunge che questa transizione non è solo energetica ma anche sociale perché comporterà in alcune regioni più dipendenti dal carbone e dalle fonti fossili dei grandi cambiamenti a livello sociale: motivo per cui è stato istituito il Just Transition Fund, il fondo per una "giusta" transazione.

Le nostre considerazioni
PRO:

Al di là di ogni ragionevole dubbio che si possa avere sull'efficacia di questo piano, va comunque premiata la buona volontà e l'impegno a essere leader nel cambiamento

L'UE sta praticamente chiedendo a tutti gli stati membri di COLLABORARE, di mettersi insieme per IL BENE DEL PIANETA.
E non per una migliore crescita, per abbattere l'inflazione, per incrementare l'occupazione, per risanare i bilanci....NO.

Qui ci troviamo davanti ad un cambio di passo nella leadership europea di portata epocale. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione UE, sta provando a dare finalmente un senso alla nostra unione europea, stimolandola a farla diventare un'unione di europei.
Si passa dallo stato-nazione in una geopolitica basata sulla competizione in un gioco a somma zero ad una politica di collaborazione, dove ciascuno fa la propria parte per il bene comune. WOW.

CONTRO:

Il piano vuole rappresentare una "spintarella", neanche troppo decisa, verso una rivoluzione, un cambiamento delle fondamenta della società produttiva che si basa sulla seconda rivoluzione industriale, ossia sulle fonti combustibili fossili (carbone, petrolio). Tutto per il bene comune. Perdonate lo scetticismo ma, nell'Europa degli individualismi attuale, ci sembra poco probabile che ciò accada.

Il Green deal Europeo non è paragonabile al New Deal di Roosevelt: quest'ultimo avveniva in uno Stato pineamente sovrano e con tutti gli strumenti a disposizione per implementarlo.

Noi siamo dell'opinione che cambiamenti di questa portata richiedano un cambio di testa, di paradigma, una politica nuova che vede protagonista attivo il cittadino e la sua comunità e non organi ed apparati e onorevoli dei quali non si sa nulla e continuano ad assorbire soldi che sarebbero meglio spesi a livello locale. Serve uno STATO PRESENTE e non uno Stato fantasma come quello di oggi.

Lo Stato, la collettività, il pubblico hanno il compito di assicurare il benessere dei cittadini, ed è giusto che intervengano nell'economia per farlo. Una regola vera sempre e particolarmente importante in periodi di crisi.

Infine: no obblighi di decarbonizzazione, no stop alla nuova produzione di combustibili fossili, nessun piano per diminuire la morsa dei principali contribuenti di CO2 (carne bovina, trasporti, costruzioni) e obiettivi disallineati con la scienza. Nessun riferimento concreto all'economia circolare, nessun problema rifiuti (scompaiono nel Green Deal?)...insomma nessuna novità. Sembra la solita pillolina con lo zucchero.

IN CONCLUSIONE

C'è un'importante questione sociale da risolvere per poter passare ad un'economia "nuova" e se questo non è ben pianificato, salta tutto. L'Europa può dare una direzione ma non ha gli strumenti adatti per imporre il cambiamento, specie se si rifiuta di togliere quel cappio al collo che sono le regole sul deficit. Se così è, se si vuole davvero cambiare, bisogna avere persone nuove, senza compromessi, che abbiano il coraggio di scrivere regole nuove e che abbiano gli strumenti e il tempo per applicarle. 

Bisogna AUDERE.


Wednesday, December 18, 2019

Audere - Perché tutto questo?

Perchè vogliamo provare a cambiare?


Per cercare qualcosa di nuovo e migliore! 
Un buon punto di partenza è chiedersi perché l'attuale sistema di economia politica stia fallendo così ampiamente. Dal punto di vista ambientale, la risposta è che le caratteristiche chiave del sistema lavorano insieme per produrre una realtà altamente distruttiva
  • Un impegno indiscusso in tutta la società per la crescita economica a quasi tutti i costi
  • Potenti interessi aziendali il cui obiettivo primario è quello di crescere generando profitto, incluso il profitto dall'evitare i costi ambientali che creano 
  • La replica di tecnologie progettate con scarso rispetto per l'ambiente; 
  • Mercati che non riescono sistematicamente a riconoscere i costi ambientali se non corretti dal governo; governi subordinati agli interessi corporativi e all'imperativo di crescita; 
  • Consumismo dilagante spinto da una dipendenza dalla novità e dalla pubblicità sofisticata di obsolescenza programmata; 
  • L'attività economica ora così ampia su scala che i suoi impatti alterano le operazioni biofisiche fondamentali del pianeta
Tutte queste cose contribuiscono a creare un'economia mondiale in continua crescita ma che sta minando la capacità del pianeta di sostenere la vita. E ciò non va per niente bene.

Questa realtà ambientale è fortemente connessa alla crescente disuguaglianza sociale e all'erosione della democrazia e del controllo popolare.

Solo una potente nuova realtà democratica può AUDERE a guidare e regolare l'economia per fini ambientali e sociali, e solo una società che è coesa ed equa è suscettibile di affrontare pienamente sfide condivise come l'ambiente

Sfortunatamente, oggi viviamo e lavoriamo in un sistema di economia politica che si preoccupa profondamente dei profitti e della crescita e che si preoccupa della società e del mondo naturale principalmente nella misura in cui è necessario farlo. Basta guardare al mondo finanziario: dall'accordo di Parigi ad oggi, le 33 banche più grandi al mondo hanno investito 1.900 miliardi di dollari in fonti fossili. Alla faccia delle rinnovabili.

Spetta quindi a noi come cittadini OSARE (AUDERE) ed iniettare valori di equità, solidarietà e sostenibilità in questo sistema e il governo è il veicolo principale che abbiamo per raggiungere questo obiettivo.
La definizione delle priorità della crescita economica e dei valori economici è alla base dei fallimenti sistemici e delle conseguenti crisi che il sistema capitalista sta vivendo. Oggi, l'attuale orientamento politico sostiene che il percorso per un maggiore benessere è quello di crescere ed espandere l'economia. Produttività, salari, profitti, borsa, occupazione e consumi devono aumentare. Questo imperativo di crescita vince su tutto il resto. Può minare le famiglie, i posti di lavoro, le comunità, l'ambiente e un senso del luogo e della continuità perché è affermato con fiducia e ampiamente creduto che la crescita valga il prezzo che deve essere pagato per essa. 
Ma ciò non va per niente bene.
La crescita economica può essere la religione secolare del mondo, ma, per gran parte del mondo, è un dio che sta fallendo, sotto-performando e, per quelli nelle società benestanti, sta creando più problemi di quanti ne stia risolvendo.
Il continuo impulso a far crescere l'economia nel complesso mina le comunità e l'ambiente, alimenta una spietata ricerca internazionale di energia e altre risorse, non riesce a generare i lavori necessari, è schiavo di un consumismo imposto dai programmi di obsolescenza programmata. Tutto appesantito da un livello di sfiducia e di insoddisfazione come mai prima.

Audere - è tempo di tanta irragionevolezza civica


Premessa

Se l'attuale sistema di economia politica “capitalistica” funzionasse bene, non ci sarebbe bisogno di metterlo in discussione o cercare un cambiamento fondamentale. Ma non è così. 
Alla domanda su quali dovrebbero essere gli obiettivi chiave della vita economica, molti risponderebbero: "il benessere individuale e sociale, una democrazia migliore e la qualità ambientale". Se così è, l'economia politica di oggi sta fallendo
È un fallimento che raggiunge molte sfere della vita nazionale: economica, sociale, politica e ambientale. In effetti, si può dire che il sistema sia in crisi in ognuna di queste quattro aree.

Il momento per OSARE (AUDERE) un cambiamento fondamentale è sottolineato soprattutto dall'urgenza delle condizioni ambientali. Gli scienziati hanno stimato che abbiamo appena 11 anni per trasformare il sistema energetico mondiale, prima che l’incremento della temperatura inneschi reazioni climatiche estreme a catena.

E chi sarà a sopportarne le conseguenze? Principalmente chi sta messo peggio, chi è socialmente svantaggiato o escluso. Come è infatti stato confermato dall'andamento del COP25, dove i ricchi hanno deciso di dare qualche soldo in più ai poveri in cambio dell'indulgenza ad inquinare in maniera indiscriminata e killer.

Per questo la nostra campagna ha due imperativi morali:
L’IMPERATIVO MORALE di affrontare il tema del cambiamento climatico, mettendolo al centro di ogni area della politica, dall’immigrazione al commercio alla politica estera ed ogni altro aspetto della politica del paese e dell’Unione Europea. L'ambiente al centro e non più l'uomo, perchè senza diritto alla sopravvivenza della Natura non ci saranno presto più i diritti umani;

L’IMPERATIVO MORALE  di rimettere in gioco una quantità sempre crescente di persone alle quali questo modello capitalista e democratico ha tolto tutto o quasi. Non vogliamo la migliore democrazia che il denaro possa comprare: vogliamo una democrazia inclusiva che coinvolga i cittadini nelle scelte che impattano le loro comunità.

Tuesday, September 27, 2011

Ethics in Finance


Two things to consider watching this video.

1) These are traders. Overpayed, with no ethics.
2) Goldman Sachs has a great reputation uh?

Enjoy.....

Monday, September 26, 2011

The magic word is "social collaboration"

I keep on thinking how can we achieve a bigger social impact than today.
Charities and NGOs are working hard but yet...what they're doing is not even enough to keep a billion of people away from suffering from starvation, homelessness, some of the most common deseases which turn out to be fatal for them.
There must be a way to do more.
And the more I think about this issue, the more I'm convinced that to reduce such social plague we must align the institutions with big money to people needs. I mean not NGOs or even States, but companies.

Simply, it's not just enough that each of them contributes to whatever social cause. We must convince them that this is one of those cases when joining forces achieves a much better result than the single individual forces put together.
We must find a way to achieve "social collaboration", to help companies to look at the whole "social space" not as a big competition but as a big collaboration environment, where the big picture will help to get better results.

There are plenty of ways to get to this point and some enlightened companies have already begun. Check here.

But it's also about us. What do we do for this.
In our little living space we have a role in our society, some working in others advising companies. Let's bring this "collaboration movement" into the small, medium or big organisations, let's challenge the status quo, let's make them understand that helping others, committing to this, is not just "good conscience" but also a strategic long term advantage.

With some likely profits in mind, perhaps boards may change their view and reach out their suppliers to start a real  and committed social project.
Am I wrong?

Saturday, September 10, 2011

Socially Responsible Investments: is there a market?

I was attending a nice event last week about the ESG market, with well renowned speakers from Goldman Sachs, Unicredit and BoA.
It was very well moderated by Reuters who provided the attendees with a nice piece of research.
Anyway, I found this really interesting study from EUROSIF, which I think it's worth sharing.

"The UK is widely acknowledged as a global leader in sustainable and responsible finance. Its dynamic cluster of sustainable and responsible investment expertise is spread across a range of institutions, including asset managers, investment consultants, investment banks and independent research houses. It was a pioneer in carbon trading and is now a key centre for the carbon markets". (Follows here)