Search This Blog

Wednesday, December 29, 2010

“Brand-new”: storie di nuovi brand o presunti tali*

E' oramai un caso che fa scuola, una success story da raccontare ai nuovi corsi di economia aziendale. Sto parlando della strategia creata ed implementata da David Plouffle, CMO dello staff di Barack Obama, in grado di sensibilizzare milioni di persone attraverso un'attenta, pensata e magistralmente eseguita, campagna di marketing multimediale durante le elezioni presidenziali americane. Tantissimi premi e riconoscimenti per lui, la Casa Bianca per Obama.

Più leggo la sua success story, più mi sembra evidente di come il mondo sia cambiato. Una cosa del genere non sarebbe mai venuta alla ribalta, o forse non sarebbe stata nemmeno possibile, anche solo 4 anni fa. L'importanza del ruolo assunto dai digital media nel creare un'icona, un “brand” (o riposizionarlo), è sotto gli occhi di tutti.

Oggi le aziende, di qualunque settore, si trovano in un contesto comunicativo che è cambiato velocemente in modo radicale. Due attributi in grado di far girare la testa – e spaventare – molti PR manager ed agenzie di comunicazione ancora impreparate a dialogare strategicamente con i nuovi media.
Il mondo corporate è ancorato a paradigmi di comunicazione di vecchio stampo, la c.d. “one-way communication”, io comunico quello che voglio ma non voglio sentire che cosa ne pensi. Nel mondo della finanza questa è ancora più pronunciato.

E patetico.

Ma con questo atteggiamento statico, dovuto a lacune cognitive da un lato e paura dall'altro, l'unico risultato che si ottiene è la continua erosione del vantaggio competitivo della propria azienda, un danno di medio-lungo periodo ancora invisibile ai più.

Nel mondo in cui oggi viviamo, ogni azienda è fortemente responsabilizzata per ogni cosa che dice e fa e non più secondo una scala di valori “imposta” o “corporate”, ma secondo un'agenda decisa dal consumatore. Che ingaggia il dialogo con questa attraverso il brand.
Sempre più, il brand è infatti il punto d'incontro tra i desiderata, le preoccupazioni ed i valori dei consumatori ed il commitment dell'azienda nel farvi fronte in maniera appropriata.

Prendiamo, per esempio, il caso, esemplare, di BP.


Dieci anni fa, la società ha avviato un progetto ambizioso di rebranding, il quale rifletteva l'intenzione di esplorare nuove idee e possibilità per vivere in un mondo che potesse fare a meno del petrolio. Una comunicazione massiccia sui media tradizionali ed un sito web ricco di documentazioni sull'impegno ambientalista della società, contribuivano a dare sostanza alla promessa.

Una società che ha speso “billions” in rebranding, utilizzando campagne sui new media, giocando sulle iniziali del proprio marchio (BP, da British Petroleum, a Beyond Petroleum, cavaliere della protezione ambientale), ridisegnandolo, arricchendolo di attributi “verdi” a completamento di una fitta agenda di CSR (corporate social responsibility, ndr) rivelatasi col senno del poi con delle grosse lacune in termini di consistenza.
Quanto tuttavia era in verità solida tale strategia di rebranding, quanta attenzione era stata piazzata davvero nel mantenere le promesse del nuovo brand, quanta sostanza per dialogare davvero con i consumatori? I fatti accaduti ci fanno venire quantomeno qualche perlessità.

La drammatica esplosione nel Golfo del Messico ha reso evidente che le promesse contenute nel brand “Beyond Petroleum” non sono state mantenute, ma che BP è ancora fortemente British Petroleum.

L'incidente si è verificato il 20 di Aprile.
Ovviamente BP poteva non sapere da subito la portata dell'evento, che tuttavia rapidamente si era dimostrato essere molto serio. Agire sulla preoccupazione del momento avrebbe potuto gonfiare un avvenimento che magari poteva essere invece di portata molto ridotta,  avrebbe potuto minare i profitti, la posizione del CEO, causare contrasti interni e cause con gli shareholders. Ma tale tempestiva azione - attraverso un sapiente e “preparato” crisis communication management - avrebbe dimostrato attenzione e sensibilità verso la tematica ambientale sbandierata nelle comunicazioni corporate e nell'advertising. Avrebbe mantenuto la promessa contenuta nel brand.
L'analisi dei fatti ci dice in maniera chiara che quei 4.000 miliardi di dollari spesi nel rebranding e quegli anni di lavoro passati a cancellare l'eredità dell'incidente accaduto in Texas nel 2005 e costato la vita a 15 persone, sono sfumati in solo pochi giorni.
Vale dunque la pena correre questo rischio e rischiare di compromettere sia il faticoso lavoro di anni sia la reputazione sul mercato? Non ho idea di quale sia stato il processo decisionale o la strategia dietro la scelta finale ma, ancora una volta, i fatti ci dicono che la risposta di BP a tale domanda fatidica è stato un “sì”.

Solo 3 giorni dopo, infatti, il CEO Tony Hayward ha rilasciato la prima comunicazione sull'accadimento e rilasciato la prima intervista pubblica ben due settimane dopo.

Immagino che tale intervallo di tempo sia stato necessario non tanto per capire l'entità di uno dei peggiori disastri ecologici che memoria ricordi, ma utile per preparare - da parte del board - un piano di “crisis management” per l'evento.
Ancora una volta, un gravissimo errore. Dopo la mancata sensibilizzazione ambientale, la mancata comprensione delle sensibilizzazione mediatica. La velocità delle comunicazioni oggi è tale che non è più possibile per il board dettare i tempi delle stesse, non è più possibile “coprire” l'informazione stile regime comunista.
Perché ci sono le indiscrezioni, ci sono i giornalisti improvvisati, i curiosi, gli ambientalisti, la gente del posto...tutti ugualmente stakeholders della BP e di qualunque azienda, tutti ugualmente in grado di far sentire la propria voce attraverso i vari Facebook, Youtube, Twitter e via discorrendo.

E non so se sia peggio aggravare una situazione di crisi – dimostrandosi comunque attenti – o lasciare spazio alle indiscrezioni, alle speculazioni in un mondo multimediale dove un quarto di ipotesi speculativa diventa una teoria, anzi, un'evidenza che si autoalimenta a valanga. I messaggi su Twitter, i commenti e le pagine su Facebook, le discussioni sui gruppi di Linkedin, i post di tantissimi blog – alcuni dei quali veri e propri mass influencers – colmano il vuoto lasciato dall'informazione corporate e si dimostrano molto efficaci. In quegli stessi giorni di assenza di informazione da parte di BP, la società ha perso diversi “billions” di capitalizzazione in Borsa. A dimostrazione che le informazioni oggi sono disponibili ovunque e da svariate fonti. Inutile nascondersi dietro un dito.

Successivamente, BP ha cercato di utilizzare internet per comunicare, con una strategia eccellente nella progettazione ma poco efficace nell'implementazione, almeno in fase iniziale. BP, nel tentativo di recuperare un po' della reputazione persa in questi mesi, ha infatti comprato da Google e da Yahoo! i link sponsorizzati che appaiono su questi motori di ricerca quando si cerca il termine “oil spill”





Questi link ci portano direttamente alla pagina che BP ha costruito per spiegare la propria versione dei fatti e far luce su quanto si stia impegnando per porvi rimedio.

Sebbene l'impegno sia apprezzabile, è molto evidente dal testo sopra riportato, come sia una “corporate communication”, e non si cerchi invece il dialogo con il lettore, non si usi un tono dimesso e penitente, non si cerchi la collaborazione della gente. Esattamente quello cui dovrebbe puntare un sito internet, specie se sottoposto alla ente d'ingrandimento dei social media.
Che inevitabilmente hanno preso d'assalto questo tentativo, buono solo nelle intenzioni. Un account su Twitter ha preso di mira in maniera sarcastica gli sforzi comunicativi della società, su Facebook mezzo milione di persone si sono associate alla pagina “boicottiamo BP”, e via discorrendo. Una lezione che la società ha appreso, a giudicare dalla nuova modalità comunicativa usata recentemente e che vediamo illustrata:





E' evidente, dall'analisi di questo caso, come la portata del cambiamento dettato da internet e dall'abilitazione dei consumatori nel portare alla ribalta tematiche sensibili, ha di fatto creato una nuova era di comunicazione e di branding: una nuova era nella quale c'è ancora molto da capire e tanto, tanto da fare. 


Christian Liistro


*Articolo apparso su "Pubblicità Italia", numero di Ottobre 2010.